I giorni di Trieste: 1954 – La restituzione di Trieste

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 I giorni di Trieste: La città contesa

Teatro Verdi 23/02/2014

Prof Andrea Graziosi

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Nel 1954 Trieste ritorna all’Italia.
È l’unica delle città contese europee a non passare di mano, come succede invece a Leopoli, polacca, ebraica e ucraina, divenuta ucraina e russa, a Vilnius, polacca e ebraica e poi lituana e russa, ma anche ai centri ungheresi della Transilvania, a quelli tedeschi del Baltico, o a quelli armeni e greci della nuova Turchia. Passaggi che hanno coinciso con alcune delle tragedie del XX secolo e che hanno visto il comunismo sostenere le teorie nazionalistiche. La seconda guerra mondiale e la guerra fredda hanno inciso sui destini di queste città, e in particolare su quelli di Trieste che riesce invece a restare italiana. Ma a che prezzo?

Rivolta_di_Trieste_1953Trieste ha fatto parte del gruppo delle città plurilingui europee,  città che all’inizio della grande modernizzazione erano abitate da popolazioni miste, con lingue e spesso religioni diverse, di cui una in genere dominava le altre, sia dal punto di vista economico che da quello culturale, e spesso anche da quello demografico. Erano inoltre in genere città circondate da campagne abitate invece da popolazioni diverse per lingua e religione da quelle urbane. Queste città esistevano anche nella parte occidentale del nostro continente, come Dublino o Belfast, ma anche ad alcune città dei paesi baschi. In quella orientale, però, costituivano quasi la regola: per esempio Praga dominata dai tedeschi e con un forte insediamento ebraico, dove i cechi erano duecento anni fa una minoranza, o a Vilnjus, una città polacca e ebrea circondata da campagne lituane. Ma anche a Salonicco, Riga, Leopoli, Bratislava, Wroclaw ecc.

trieste4nov1Già nel corso del XIX secolo la veloce urbanizzazione portò nelle città masse crescenti di contadini, attratti dallo sviluppo industriale, ponendo le basi per conflitti sempre più acuti, ma ancora pacificamente risolti, fatta eccezione per le zone dei Balcani resesi indipendenti dai turchi, dove spesso le popolazioni urbane musulmane, prima dominanti, furono perseguitate e comunque costrette ad emigrare.
Questi contadini si scolarizzarono, presero infatti a reclamare loro scuole, loro istituzioni culturali e loro chiese, un processo facilitato dalla progressiva democratizzazione, che allargava il diritto di voto, ed era naturalmente osteggiata dai vecchi gruppi dominanti.

Gruppi linguistici a Trieste

1910 1921 1971
ITALIANI 65% 91,8% 94,3%
SLOVENI 24,8% 8,2% 5,7%
TEDESCHI 5,2%

Tabella demografica di Trieste

1850 70.000
1880 145.000
1910 230.000
1921 239.000
2010 203.000

jjA Trieste la popolazione slava crebbe fino a reclamare il possesso della città in base alla teoria esposta da Tito, ma formalizzata già nel 1921 da Stalin riecheggiando gli argomenti del nazionalismo romantico, secondo cui le città appartenevano alle campagne circostanti.
Ma perché alla fine Trieste fu l’unica delle “città contese” a non passare di mano, come accadde per esempio a Leopoli, Vilnjus o Smirne? Per ragioni politiche e geografiche. La guerra fredda, che già nel 1945 contrapponeva gli ex alleati, permise infatti agli italiani di sfruttare i conflitti tra i vincitori: gli angloamericani, che all’inizio gli erano stati favorevoli, presero allora le distanze da un Tito che nel 1945 era forse il campione più determinato dell’Urss e delle politiche staliniane.

trieste4nov3Ciò rese possibile agli italiani difendere Trieste, cosa facilitata dalla sua vicinanza geografica all’Italia. Da questo punto di vista, fu un bene che i conflitti tra Tito e Mosca scoppiassero solo nel 1948. Se fossero scoppiati prima, e gli alleati avessero assunto prima una posizione filo-jugoslava, è probabile che Trieste sarebbe caduta nelle mani di Tito. La svolta del 1948, che peggiorò sensibilmente la posizione italiana, fu invece determinante nel decidere delle sorti dell’entroterra, e quindi delle limitatissime dimensioni dell’insediamento italiano, ridotto al territorio urbano e alla piccola striscia che lo collegava al “corpo della nazione”. Trieste si ritrovò così ancora italiana, ma separata dai territori cui era stata tradizionalmente legata, e quindi costretta a vivere una vita difficile, se paragonata al grande sviluppo precedente.
Trieste è l’unica città contesa che riesce a conservare la sua identità nazionale di partenza.

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Il ritorno dell’Italia
Nel 1954 Italia e Jugoslavia si spartirono il Territorio Libero e Trieste (Zona A) ritornò a far parte dell’Italia, mentre l’Istria (Zona B) venne assegnata alla Jugoslavia.

Nel 1975 il trattato di Osimo sancirà definitivamente questa divisione.

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I giorni di Trieste: 1945 – La corsa per Trieste

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I giorni di Trieste: La città in bilico

Teatro Verdi 09/02/2014

Prof Raoul Pupo

Con “corsa per Trieste” si intende l’avanzata verso la città compiuta in maniera quasi concorrenziale nella primavera del 1945 da parte dell’armata jugoslava e quella britannica.

La definizione è stata coniata da Geoffrey Cox, all’epoca dei fatti ufficiale di intelligence della seconda divisione neozelandese incaricata di prendere possesso di Trieste che nel 1947 pubblicò il libro “The Race to Trieste”.
L’immagine evoca una competizione in cui i due concorrenti si impegnano allo spasimo per raggiungere la meta, “la perla”, come la chiamavano gli inglesi, cioè Trieste.

partizan_predaje_zastavu_novozelandjaninu_trst_1945._141L’armata jugoslava
La quarta armata jugoslava, comandata dal generale Petar Drapšin, fece l’impossibile per arrivare per prima, perché il fronte di liberazione comunista aveva accolto le tradizionali rivendicazioni nazionali dei popoli jugoslavi, sperando in tal modo di distoglierli dalla terrificante guerra civile seguita all’aggressione tedesca ed italiana del 1941, mentre l’Istria e il Litorale stavano nel cuore dei patrioti sloveni e croati.
L’ obiettivo dell’armata era quello di raggiungere la regione italiana della Venezia Giulia, a popolamento misto italiano e slavo, rivendicata dalla Jugoslavia. Scopo esplicito dell’operazione era quello di realizzare un’occupazione militare, nella convinzione che il controllo della regione contesa avrebbe reso più facile la sua assegnazione alla Jugoslavia in sede di conferenza di pace.

oldatineozelandesiatrieste1945-viL’armata britannica
L’ottava armata britannica, comandata dal generale Alexander, aveva il compito di distruggere le forze armate tedesche nell’Italia del nord, assieme alla quinta armata americana. Mentre gli americani, una volta superata la linea gotica avrebbero dovuto puntare a nord ovest, verso Genova, Milano e Torino, i britannici si sarebbero dovuti volgere ad est, in direzione di Venezia e Trieste. Per gli inglesi l’occupazione della Venezia Giulia non era una priorità bensì un problema. Era noto infatti che gli jugoslavi miravano ad assumere il controllo della regione e ciò avrebbe potuto provocare un conflitto con i partigiani italiani. Si trattava di uno scenario che ai diplomatici ed ai comandi miliari britannici ricordava pericolosamente quello della Grecia, dove nel dicembre 1944 le truppe inglesi si erano trovate all’improvviso coinvolte in una guerra civile fra partigiani comunisti ed anticomunisti.
49 Per evitare l’eventuale crisi, i britannici cercarono di concordare preventivamente con gli jugoslavi la divisione della Venezia Giulia in due distinte zone di occupazione, ma si scontrarono ripetutamente con il diniego annessionista di Tito.
A rendere più difficile la posizione inglese contribuì l’atteggiamento americano; gli Stati Uniti ritenevano che la spartizione avrebbe avvantaggiato indebitamente il governo di Belgrado nella prospettiva della conferenza della pace, spingendo gli inglesi ad una maggiore fermezza. Contemporaneamente però il presidente Truman escludeva nella maniera più assoluta la possibilità di impiegare le truppe americane in quelli che definiva “pasticci balcanici“.

Gli italiani
Gli italiani risultarono completamente tagliati fuori dalle operazioni per la liberazione di Trieste poiché né la Repubblica sociale italiana né il Regno del sud erano in grado di influenzare le decisioni dei tedeschi e degli angloamericani. Qualcosa di più sembrò poter ottenere la “diplomazia della Resistenza”, il CLN Alta Italia e il Fronte di liberazione sloveno raggiunsero in effetti un accordo di collaborazione per l’area giuliana, ma poche settimane dopo gli sloveni ci ripensarono e misero i partigiani italiani di fronte all’alternativa: o entrare nelle organizzazioni del movimento di liberazione sloveno, accettandone la linea, oppure andarsene. La maggior parte dei comunisti accettò.
Gli antifascisti del CLN e quelli comunisti, italiani e sloveni, che avevano dato vita all’Unità operaia, non si parlarono per mesi. Poi durante la crisi finale provarono a cercare un accordo ma non ci riuscirono e quindi giocarono la carta dell’insurrezione contro i tedeschi.
Trieste quindi ebbe due insurrezioni, ma nessuna delle due ebbe la meglio sui tedeschi. Per questo, fu necessario attendere le liberazioni.

map11La conquista di Trieste
La quarta armata jugoslava iniziò l’attacco il 4 aprile ma l’offensiva si arenò di fronte alla “linea Ingrid” costruita dai tedeschi. Drapšin tentò una mossa assai audace, che testimoniava la volontà del comando jugoslavo di raggiungere il proprio obiettivo a tutti i costi. Le truppe migliori vennero così concentrate a nord di Fiume per tentare di aggirare le linee germaniche. Il rischio era altissimo, perché se i tedeschi avessero deciso di contrattaccare per aprirsi la via verso nord e il confine austriaco, le unità jugoslave sarebbero state fatte a pezzi. Invece, gli ordini emessi dal comandante costrinsero i tedeschi a rimanere barricati a Fiume. In questo modo gli jugoslavi si radunarono oltre la linea Ingrid e si disposero a marciare su Trieste. 20Armd-1

Nella mattina del 1 maggio 1945 alcune unità riuscirono così ad infiltrarsi fra le maglie delle difese tedesche attorno a Trieste ed a scendere nel centro città.
L’ottava armata britannica lanciò il suo attacco il 9 aprile e fece rapidamente irruzione nella pianura padana, sebbene con un ordine ambiguo. Da un lato si ingiungeva di occupare tutta la Venezia Giulia a prescindere dal consenso jugoslavo, ma dall’altro si raccomandava, qualora gli jugoslavi non volessero adeguarsi a tale piano, di fermarsi prima di assumere qualsiasi iniziativa.
Il generale Alexander decise di conseguire quello che riteneva essere l’unico obiettivo possibile e cioè ottenere il controllo del porto di Trieste e delle linee di comunicazione verso l’Austria.
1945TRSTCOURTHOUSELe truppe britanniche arrivarono a Trieste nel primo pomeriggio del 2 maggio, dopo aver superato una debole resistenza tedesca.
Quando giunsero a Trieste i combattimenti erano ancora in corso, perché le truppe jugoslave, prive di armamento pesante, non erano riuscite ad avere ragione dei reparti tedeschi trincerati nel castello di San Giusto e nel Tribunale. Alla vista dei reparti alleati i tedeschi trattarono la resa.

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Gli jugoslavi avevano vinto la “corsa per Trieste”, ma gli alleati erano riusciti, come disse Churchill, ad “infilare un piede nella porta“.
Ne seguì una sovrapposizione non concordata di zone di occupazione, che generò la prima crisi diplomatica del dopoguerra, la “crisi di Trieste“, conclusa con l’accordo di Belgrado del 9 giugno 1945. L’accordo previde che, provvisoriamente in attesa delle decisioni della conferenza di pace, la Venezia Giulia sarebbe stata divisa in due zone di occupazione: la zona A, retta da un Governo militare alleato, e la zona B, affidata ad un’amministrazione militare jugoslava.
Da questo momento la Venezia Giulia non sarà mai più unita.

15240396Durante i quaranta giorni d’occupazione jugoslava Trieste e la Venezia Giulia furono raggiunti da un’ondata di violenze di massa, infoibamenti, fucilazioni sommarie, campi di prigionia, denutrizione e maltrattamenti .
Le autorità jugoslave procedettero all’arresto in massa dei membri dell’apparato repressivo nazista e fascista, dei quadri del fascismo giuliano, di elementi collaborazionisti, ma anche di partigiani italiani che non accettavano l’egemonia del movimento di liberazione jugoslavo e di alcuni esponenti del CLN giuliano e del movimento autonomista fiumano, assieme ad alcuni slavi anticomunisti e a molti cittadini privi di particolari trascorsi politici ma di sicuro orientamento filo-italiano. La repressione mirava ad eliminare tuffi gli oppositori all’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito, quindi in particolare gli italiani. Parte degli arrestati venne subito eliminata, la maggioranza venne inviata nei campi di prigionia.trst1945piazzagrande
Il 3 maggio 1945 fu dichiarata l’annessione di Trieste e della Venezia Giulia alla nuova Jugoslavia di Tito e venne costituita a Trieste un’amministrazione jugoslava che assunse il controllo dell’economia e spostò le lancette degli orologi, per far coincidere l’ora di Trieste con quella della Jugoslavia.
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Il 5 maggio, dopo una prima serie di manifestazioni fìlojugoslave, fu stroncata nel sangue dalle truppe jugoslave una dimostrazione filoitaliana.
Le truppe jugoslave occuparono Trieste per 40 giorni, ma ai più parvero un’eternità. Il clima di incertezza quotidiana, la scomparsa di migliaia di persone, le violenze e l’incapacità di approvvigionare la città, convinsero la maggior parte della popolazione a festeggiare i soldati alleati che il 12 giugno presero possesso della città come i veri liberatori.

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Ospedale Militare

3350227143_d79840b1a6_oAlle pendici del colle di Scorcola, dove Via Coroneo incrocia Via Fabio Severo, sorge l’Ospedale Militare, costruito tra il 1856 e il 1862 su progetto dell’ingegnere Luigi Buzzi. Il terreno dove fu costruito l’edificio venne acquistato dal Comune nel 1856 da Francesco Guetta, che lo cedette gratuitamente al Sovrano Erario, andando a sostituire il primo ospedale militare, costruito nel 1790, annesso alla Caserma Grande (attuale Piazza Oberdan).

Image_scre (8)L’Ospedale è realizzato in stile neo gotico e si compone di una palazzina destinata agli uffici amministrativi e di un retrostante edificio con pianta ad H con capacità di accogliere fino a 500 posti letto, collegati fra loro da un corridoio di passaggio. Il complesso ospitò la Scuola dei Cadetti di Fanteria dal 1859 al 1872 e durante il periodo dell’Adriatisches Küstenland (Occupazione Nazista) venne utilizzato dalle forze armate tedesche. Rimase in attività fino al 1988 e in futuro diventerà la Casa dello Studente dell’Università di Trieste.

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Il Nuovo Ospedale Militare si presentava all’epoca come un vero gioiello in fatto di scelte architettoniche e strutturali e per l’impiego di nuove tecnologie di costruzione.
Le facciate della palazzina sono caratterizzate da incorniciature decorate che legano le finestre del primo piano a quelle del secondo, da medaglioni lobati e dal balcone traforato con un motivo a quadrifogli, a cui si accede da un’apertura a trifora gotica.
Al centro si innalza una torretta terminante con una balaustra ed un orologio, ai lati l’edificio culmina con delle merlature gotiche.

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L’uso del neogotico permise una più libera collocazione delle parti secondo le nuove norme igieniche, pur mantenendo una facciata rappresentativa e decorosa grazie anche allo stile castellato.

All’interno dell’Ospedale era presente anche una cappella riccamente decorata.

 

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Stazione Centrale

Trieste_central_stationLa Stazione Meridionale, oggi Stazione Centrale, fu progettata dall’ingegner Wilhelm von Flattich e inaugurata il 19 giugno 1878 come capolinea della linea Trieste – Vienna, la linea Meridionale.

L’Imperatore Francesco Giuseppe fu presente alla posa della prima pietra, il 14 maggio 1850, di quella che fin dall’inizio si preannunciava come un’opera colossale, la costruzione della linea ferroviaria che collegava Trieste a Vienna, della stazione, l’interramento di un grande tratto di mare e la demolizione di alcuni edifici tra cui l’Istituto dei poveri (1818) e il macello civico (1790), cambiando radicalmente l’assetto urbanistico di una parte della città. A questo proposito si legge il proclama ufficiale:

neg.740587/17 - L'Imperatore Francesco Giuseppe ©Archivio Publifoto/OlycomSappiano tutti quelli che vedranno le opere presenti che nel dì 14 maggio dell’anno 1850, il serenissimo principe Francesco Giuseppe, della casa d’Austria Asburgo-Lorena, per la grazia di Dio Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria, di Boemia, del Lombardo-Veneto, d’Illiria, Signore di Trieste ha collocato con solenne rito la pietra inaugurale della strada ferrata imperiale viennese-tergestina alla porta postica, verso settentrione della prima stazione, alla presenza di una numerosa moltitudine, acclamante tutto il popolo “Vittoria,  felicità, molti anni d’Impero all’augusto nostro Imperatore Francesco Giuseppe I!

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La linea Meridionale fu inaugurata 27 luglio 1857 (in tedesco Südbahn) collegava Vienna a Trieste ed era gestita inizialmente dalle Ferrovie di Stato meridionali austriache (Südlichen Staatsbahn) per poi essere venduta  nel corso del 1858, in seguito della crisi finanziaria che aveva colpito l’Impero austro-ungarico, alla società ferroviaria privata Imperial Regia Privilegiata Società delle ferrovie meridionali (Südbahn, “Meridionale”), facente capo alla famiglia Rotschild, fino alla prima guerra mondiale. La Meridionale diede anche il nome alla lunga linea ferroviaria, battezzata originariamente come linea dell’Arciduca Giovanni d’Asburgo-Lorena.
La costruzione fu affidata alle Ferrovie di Stato Meridionali (kk Südlichen Staatsbahn), mentre il compito di redigere il progetto spettò a Carlo Ghega, che decise di adottare il principio austriaco di valicare le Alpi con un percorso tortuoso, prevalentemente allo scoperto e quindi privo di lunghi trafori passando per Graz, Maribor, Lubiana e Postumia.
FTtrieste_9920Nel 1887 le Ferrovie di Stato austriache per ridurre la propria dipendenza dalla rete della Südbahn, aprirono una linea ferroviaria che dal nuovo porto triestino giungeva alla stazione di Erpelle-Cosina sulla ferrovia Istriana dotando la città di una seconda stazione, la Transalpina (Stazione Campo Marzio).

Le due stazioni furono raccordate da un binario che nei progetti iniziali doveva essere una soluzione provvisoria: la linea delle Rive, ma che resterà in funzione fino al 1981.

Nel 1850 vennero avviati i lavori di costruzione della prima stazione ferroviaria di Trieste, l’unica che permetteva il collegamento con Vienna. Si trovava un centinaio di metri arretrata rispetto alla struttura attuale, fu scavata parte della collina di Scorcola e vennero demoliti diversi edifici.
95690472Nel  1857 fu inaugurata la linea Trieste Lubiana e si rivelò la necessità di ingrandire la stazione e di costruire un nuovo edificio per accogliere i passeggeri, quindi nel 1869 il Lazzaretto Santa Teresa fu demolito e nel 1873 si iniziarono i lavori per l’ampliamento della stazione, inaugurata 19 giugno 1878 alla presenza dell’Imperatore Francesco Giuseppe su progetto dell’architetto Wilhelm von Flattich di Stoccarda e completata solo nel 1888.
Il complesso della stazione era costituito dal fabbricato passeggeri e da altri due edifici; la cosiddetta “Casa del ferroviere” e la rimessa semicircolare, demoliti negli anni Settanta.

FTtrieste_9891L’edificio in stile neo-rinascimentale è composto da un corpo centrale a due piani con accesso principale su Piazza Libertà e secondari su Viale Miramare e su Via Flavio Gioia. La facciata principale, ad intonaco giallo, presenta un corpo centrale con due torrette laterali aggettanti.
Il piano terra è articolato in cinque aperture ad arco a tutto sesto; a protezione dell’ingresso principale si trova una pensilina in ferro. Il secondo piano  è composto da finestre e colonne di ordine ionico, che si aprono su dei finti balconi a balaustra, mentrea l di sopra spiccano dei rilievi decorativi in pietra.
Le torrette laterali, marcate agli angoli da conci di pietra, sono dotate di finestre decorate con un timpano triangolare.
riflettendo-sulla-sala-reale-della-stazione-di-trieste-30a4a5d2-8a8a-4d23-b037-2ac98a75ccdbL’atrio monumentale d’ingresso è costituito da una stanza a pianta quadrata dove si aprono gli ambienti della biglietteria e da cui partono due corridoi che conducono ai binari. Lateralmente si trovano due ali destinate a servizi ed uffici, da cui si accede anche ai piani superiori.
Nell’accesso verso Viale Miramare si passa per la Saletta Reale, con gli specchi e riccamente decorata.
Una descrizione dell’epoca dell’inaugurazione:

hyj“Decoro e benissimo disposto ne è l’edificio. Cinque ampie porte, il cui accesso è riparato da una tettoia di ferro e vetro, mettono al vestibolo principale, di cui a destra havvi la dispensa dei viglietti, a sinistra il buffet coi corridoi, che conducono alle sale d’aspetto, e nello sfondo dietro le colonne il luogo per la consegna dei bagagli. Da qui i viaggiatori passano nell’ampia galleria coperta, in cui i due binari a sinistra sono destinati  pei treni di partenza, e lo spazio che li divide, al carreggio dei bagagli col minor possibile incomodo dei passeggeri. I binari a destra sono destinati ai treni di arrivo, pei quali in prolungazione della galleria c’è una veranda a riparo dei viaggiatori. Lasciando il treno i viaggiatori ritirano i bagagli dal cancello a sinistra, passando pel vestibolo di uscita in fianco all’edificio, e riescono all’aperto ove protetti da una tettoia possono salire nelle carrozze e omnibus ivi appostati.”

dedicato a Virgilio

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Palazzo Aedes

30456_1152554829305_5055206_nIn Piazza Duca degli Abruzzi, dove le rive si incontrano con il Canal Grande, troviamo Palazzo Aedes, o Grattacielo Rosso, costruito tra il 1926 e il 1928 a fianco di Palazzo Gopcevich da un progetto dell’architetto Arduino Berlam, un’ opera tra la Secession e l’Espressionismo nordico.

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L’edificio si ispira all’epoca dai nuovi grattacieli di New York in mattoni rossi, è infatti il primo vero grattacielo costruito a Trieste. I progetti per costruire il nuovo palazzo erano stati rifiutati quattro volte e nel 1926 viene presentato un nuovo progetto lanciato dalla Società Aedes e disegnato da Carlo Polli. Il progetto principale si basava su un’idea molto ambiziosa, la creazione di un “edificio americano”, un grattacielo, tuttavia l’ufficio tecnico comunale lo rifiutò poichè “nel progetto è eccezionale l’altezza, eccezionale il numero di piani, eccezionale in difetto l’area del cortile interno, eccezionale la larghezza della facciata laterale di via Machiavelli”.

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Una commissione chiese di modificare i piani che diventano 9, cambiando la cima dell’edificio e portando l’altezza a 50 metri, rafforzare i pilastri al piano terra e che “il bugnato del pianoterra sia lavorato in modo da accrescere l’impressione di robustezza per i cittadini”, presentando pure idee per la decorazione policroma  e indicando anche quali materiali avrebbero dovuto essere impiegati.

FT ts pal. aedes_1652Secondo Berlam dopo ulteriori disguidi, ritardi e blocchi, il prefetto espone la questione direttamente a Mussolini il quale dà parere favorevole e definitivo alla prosecuzione dei lavori. Viene inaugurato il 31 agosto 1928.
Particolari di pregio sono la parte centrale più alta, terminante a torretta a piramide a gradoni e le piastrelle maioliche che decorano le facciate.

 

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Palazzo Kalister

329166_1733992244877_538530633_oIn Piazza della Libertà, verso Via Ghega, c’è Palazzo Kalister, costruito in stile eclettico nel 1879 dall’architetto Giovanni Scalmanini (anche se in tempi recenti è stato attribuito all’architetto Theophilus Hansen) mentre le decorazioni sono opera di Luigi Zabeo.
Nel 1881, durante lo scavo delle fondazioni, emersero mattoni e mosaici di epoca romana, che furono inglobati nella costruzione, inaugurata nel 1882.

File0044L’area sulla quale fu costruito l’edificio all’epoca si chiamava Piazza della Stazione, ed era un vasto piazzale sorto in concomitanza con l’arrivo della ferrovia nel 1878.
Il Palazzo fu costruito per Francesco Kalister, originario di Postumia imprenditore nel settore del tessile, nipote di Giovanni Janez Kalister (1806-1864), il primo finanziatore dei circoli culturali sloveni  e figura importante della comunità slovena, ricco commerciante e borsista figlio di contadini che costruì un patrimonio economico in 3 decenni.
L’origine della sua fortuna ha alimentato un mito secondo cui una mattina corse alla Borsa, allarmato da alcune notizie poco tranquillizzanti che venivano dalla Crimea, stava per scoppiare uno scontro internazionale, e senza parlare con nessuno all’apertura della trattazione dei titoli vendette tutto il suo capitale, creando il panico.Verso mezzogiorno però ricomprò tutto per molto meno, l’inizio di un’ascesa.

FT trieste_9927Francesco Kalister fu un appassionato collezionista di quadri e acquerelli, ma la sua raccolta fu venduta all’asta nel 1908. La maggior parte del piano terra era occupata da magazzini, i primi due piani ospitavano l’abitazione della famiglia Kalister, il terzo piano era adibito ad uffici, mentre il quarto piano costituiva l’alloggio della servitù.
L’edificio ha una pianta rettangolare costruita intorno ad un cortile, mentre sul lato posteriore, verso via Udine, c’è il giardino che ospitava piante rare e costose.

La maggior parte del piano terra era occupata da magazzini, i primi due piani ospitavano l’abitazione della famiglia Kalister, mentre il terzo piano era adibito ad uffici e il quarto costituiva l’alloggio della servitù.
FT ts palazzo kallister_2264Dal portone d’ingresso si accede ad un atrio ottagonale che porta allo scalone marmoreo di rappresentanza. Sulla facciata ci sono tre ordini di balconi, di cui l’ultimo è decorato da quattro figure femminili in trono, allegorie delle arti, Poesia, Pittura, Musica e Architettura.

 

 

Image_screIl pianoterra presenta delle aperture ad arco a tutto sesto, le chiavi di volta degli archi centrali sono panduri, quelli laterali sono a forma di conchiglia, mentre il portale principale, al centro della facciata, presenta una testa di leone. Le intelaiature delle finestre e alcune parti della facciata sono ornate da motivi decorativi di ispirazione greca, mentre l’interno è arricchito di numerosi affreschi.
In cima al palazzo, sul bordo, è visibile il monogramma di Francesco Kalister, con la F e la K intrecciate tra loro.
Il Palazzo fu anche oggetto di critica in un articolo della stampa, dove su definito esempio “del modo in cui si fabbrica oltre Alpi sui disseppelliti modelli greci”.

 

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I giorni di Trieste: 1920 – L’incendio del Narodni Dom

I giorni di Trieste: La città delle nazionalità
Teatro Verdi 26/01/2014
Prof.ssa Marta Verginella

Un clima di contrapposizione tra le nazionalità si instaura a Trieste nella seconda metà dell’Ottocento: lo schieramento italiano ha il primato politico mentre quello sloveno sconta una condizione di subalternità ed esclusione dai centri di potere.
La fine della prima guerra mondiale, con la dissoluzione dell’Impero asburgico e l’inclusione di Trieste nel Regno d’Italia, muta radicalmente la natura del conflitto tra italiani e sloveni. Nel 1920 l’incendio del Narodni Dom pone fine all’ascesa economica e sociale della popolazione slovena e allontana ogni possibilità di sovvertire i rapporti di forza tra nazione dominata e nazione dominante.

Ma com’era strutturata la comunità slovena?

viadellecandeleanni202-viNel ‘700 ci sono le prime ondate migratorie da Carnia, Gorizia, Stiria Inferiore e Carinizia, e gli sloveni si assimilavano e confondevano con l’elemento maggioritario italiano; sono soprattutto inservienti ma c’è anche qualche commerciante. Non formano ancora un vero e proprio gruppo etnico, sono ancora frammentati e tendono a stare per conto proprio.
Figura importante della comunità fu Giovanni Kalister  (1806-1864), ricco commerciante e borsista figlio di contadini che costruì un patrimonio economico in 3 decenni, fu il primo finanziatore dei circoli culturali sloveni, mentre i figli fecero parte della nascente borghesia slovena (il figlio Francesco fece costruire Palazzo Kalister).
Nel 1848 dopo la “primavera dei popoli” gli sloveni acquisirono una moderna coscienza nazionale e rivendicarono un’autonomia politica, fondarono nella Galleria del Tergesteo, la prima società slava, lo Slavljansko drustvo, e l’anno dopo il primo giornale in lingua slovena, lo Slavljanski Rodoljub (Il Patriota slavo).
Le posizioni riguardanti la questiona nazionale erano profondamente diverse però, una parte sosteneva l’attività culturale del circolo, mentre l’altra accolse invece con gran favore il programma politico della Slovenia Unità (Zedinjena Slovenija), ovvero l’unione amministrativa di tutto il territorio su cui risiedeva la popolazione slovena (Carniola, Carinzia, Stiria inferiore, Litorale austriaco) e parificare lo sloveno come una delle lingue ufficiali. L’impulso però era flebile e si dissolse in un nulla di fatto.
Dopo il 1848 l’insegnamento della lingua slovena nelle scuole cittadine e l’uso negli uffici pubblici comunali diventa uno dei punti fondamentali del movimento nazionale sloveno, mentre la maggioranza italiana nega ogni riconoscimento dei diritti linguistici della minoranza, nonostante le leggi austriache lo imponessero.
Gli sloveni scontavano ancora una posizione di subalternità ed esclusione dai centri di potere locale, nonostante l’aumento della popolazione slovena nel centro urbano che ormai raggiungeva un quarto della popolazione totale.
Nel 1861 fu fondata in città la Slavjanska citalnica, la prima sala di letture slava, mentre nel 1866 fu fondata la Scuola della Società dei Santi Cirillo e Metodio, nel rione cittadino di San Giacomo, la prima scuola elementare privata con lingua d’insegnamento slovena. Le autorità locali continuano con il divieto e questo non fa altro che dare ulteriore spinta all’attività politica della comunità slovena.
Edinost1876Nel 1874 nasce a San Giovanni l’associazione patriottica Edinost, fondata da Ivan Dolinar, che nel 1876 si dota dell’omonimo periodico in lingua slovena che uscì poi a Trieste come quotidiano.
L’esclusione della minoranza dalla sfera pubblica contribuì alla costituzione di una comunità minoritaria, economicamente e culturalmente sempre più autonoma, organizzata in forma parallela e chiusa. Con una fitta rete di circoli, cooperative, scuole e asili privati, banche, società commerciali si costituì una comunità sempre più rigida ed inclusiva. Il mancato riconoscimento dai diritti linguistici alimentò nella popolazione slovena la convinzione di appartenere a una comunità ingiustamente vituperata.
La comunità slovena comincia ad essere anche autosufficiente grazie alla fondazione della Jadranska banka (Banca Adriatica), un istituto capace di sostenere le iniziative imprenditoriali della borghesia slovena (bancarie, postali, turistiche…) e fu il simbolo evidente dell’ascesa economica e sociale della comunità slovena.
Questa ascesa finanziaria porta nel 1902 a decidere la costruzione del Narodni Dom da parte di un gruppo di imprenditori finanziati della Cassa di Risparmio Slovena, un edificio considerato all’epoca la sede culturale e commerciale degli sloveni di Trieste.

Perché fu costruito il Narodni Dom?

Perché noi sloveni avessimo finalmente un territorio tanto atteso, un rifugio solo per noi, dove incontrarci e dove non ci caccerà più nessuno e non supplicheremo la concessione di nostri spazi, tutto questo ormai appartiene al passato.

Ma cos’è il Narodni Dom?

(vedi Narodni Dom) Un microcosmo della realtà slovena, un edificio dove trovano sede diverse associazioni della comunità slovena (Narodni Dom significa Casa della Cultura), un piccolo teatro con galleria, una banca, una palestra, una stamperia, due caffè, due ristoranti, un albergo ed un gran numero di appartamenti.

Come si arriva all’incendio?

L’ascesa economica e la presa di coscienza linguistica e culturale della comunità slovena è vista con qualche malumore dai triestini.
Il 13 luglio del 1920 durante un comizio di Francesco Giunta (Segretario del Partito Fascista) fu accoltellato e morì Giovanni Nini e dal palco si annunciò che un italiano era stato ucciso da uno slavo.  Gruppi di manifestanti lasciarono la piazza, danneggiando negozi gestiti da sloveni, assaltando sedi di organizzazioni slave e socialiste, prendendo a sassaiole la sede del consolato jugoslavo di via Mazzini, e devastando gli studi di diversi professionisti.

La folla si riunì presso il Narodni dom e iniziarono ad assediare l’edificio da ogni lato, circondato da oltre 400 fra soldati, carabinieri e guardie per mantenere l’ordine. Dal terzo piano dell’edificio fu lanciata una bomba a mano, cui seguì una scarica di colpi di fucile contro la folla, ferendo otto persone e uccidendo Luigi Casciana, tenente dei carabinieri, a quel punto anche i militari risposero al fuoco verso l’edificio. Da qui la ricostruzione della dinamica dei fatti è controversa, i fascisti forzarono le porte dell’edificio, vi gettarono all’interno alcune taniche di benzina e diedero fuoco, dopodiché impedirono ai pompieri di spegnere l’incendio.
Tutti gli ospiti del Narodni Dom riuscirono a salvarsi, ad esclusione del farmacista Hugo Roblek.

Dopo l’incendio:

L’edificio, devastato dal fuoco e completamente distrutto all’interno,  fu espropriato alle organizzazioni slovene.
Questo fu solo l’inizio di una lunga catena di atti intimidatori verso la comunità slovena, l’ascesa del fascismo portò varie conseguenze come il cambio dei cognomi, lo scioglimento delle associazioni slovene nel 1927, il divieto di comunicare in sloveno e la chiusura di Edinost nel 1938. Per gli sloveni a Trieste si aprì la strada dell’esilio, perché chi restava era ridotto al silenzio o finiva al confino.

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Palazzo della RAS

Ras_Trieste_002In Piazza della Repubblica, affianco Casa Terni Smolars, troviamo il Palazzo della RAS (Riunione Adriatica di Sicurtà, compagnia di assicurazioni fondata nel 1838 a Trieste), progettato in stile eclettico da Ruggero e Arduino Berlam e realizzato tra il 1909 ed il 1914 in un lotto tra via Dante, via Santa Caterina, Corso Italia e appunto Piazza della Repubblica (all’epoca Piazza Nuova).

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L’idea di costruire questo edificio si deve a Adolfo de Frigyessy, direttore della Compagnia dal 1899, che nel 1902 decide di acquistare un’area centrale della città per la costruzione della nuova sede. Sette anni dopo la società bandisce un concorso internazionale per il progetto dell’edificio al quale partecipano dieci concorrenti e i Berlam si aggiudicano l’incarico.
L’edificio viene arretrato di alcuni metri rispetto alle vecchie costruzioni per aumentare la superficie della piazza, in moda da osservare meglio il palazzo.

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L’edificio, a pianta rettangolare, è costituito da cinque piani, la facciata principale con colonne, bronzi, stucchi e marmi variopinti è su piazza della Repubblica. Soprattutto l’assenza del bugnato per la parte inferiore sono ascrivibili a Ruggero Berlam, mentre gli ingressi laterali e lo scalone interno risultano più vicini al gusto di Arduino Berlam.

L’ingresso è caratterizzato da una scalinata chiusa da una ricca cancellata da cui si accede all’atrio voltato a botte, con decorazioni a cassettoni.

Nella lunetta dell’arco d’ingresso sono collocate due statue di Gianni Marin che raffigurano Previdenza e Protezione, tuttavia non sono nate per questo palazzo bensì per la Casa dei Conti Viscovich in via Machiavelli 3, dove rappresentavano Pensiero e Azione, ornando i poggioli in ferro battuto. L’edificio fu comprato dagli architetti Berlam e, senza spiegazione, vennero rimosse per comparire molti anni dopo sulla facciata del Palazzo della RAS.

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La chiave di volta a decorazione degli archi a tutto sesto raffigura il volto di uomo scolpito in pietra, mentre le statue poste in corrispondenza dell’ammezzato nelle lunette della facciata principale raffigurano Fuoco e Aria, Pensiero e Azione, Acqua e Terra, e sono opera dello scultore Giovanni Mayer.

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Tutti i particolari sono realizzati in marmo del Carso, mentre le inferriate e le decorazioni in ferro battuto sono realizzate da un’importante ditta artigianale friulana. La ricchezza dei particolari si trova anche all’interno dell’edificio, in particolare nel vano d’ingresso dominato da una fontana monumentale, raffigurante Nettuno con tre leoni che si abbeverano, sempre di Gianni Marin, oltre a mosaici, statue e colonne.

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Su Via San Nicolò è esposta una targa in ricordo di Giacomo Venezian.

La storia eleverà il palazzo della RAS ad uno dei capolavori del tardo eclettismo europeo
Marco Pozzetto

 

 

 

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Rotonda Pancera

9589338337_82d0f1f3b2_oIn Via San Michele angolo Via della Rotonda, a due passi dall’Arco di Riccardo, c’è la Rotonda Pancera (o Panciera o Panzera), il miglior esempio di neoclassico in città.
Il progetto fu commissionato dal commerciante triestino Domenico de Pancera e risale al 1806, è attribuito all’architetto Matteo Pertsch, sebbene non ci sia nessuna documentazione al riguardo.
Lo spazio del quartiere non è razionalmente suddiviso in lotti quadrati come il Borgo Teresiano, ma un tessuto urbano frammentario, irregolare a ridosso della città murata; il palazzo quindi si trova a  dover assumere una forma a cuneo malagevole, quindi per prima cosa venne realizzato un piano orizzontale, costituito dal piano terra a bugnato, sul quale appoggiare la costruzione.

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                                                                                                                                                                         Sull’angolo acuto viene disegnato un tempio semicircolare caratterizzato da colonne di ordine gigante con capitelli ionici che sorreggono una cornice spessa. Nel muro tra le colonne si aprono tre porte-finestre e sopra quest’ultime si trovano alcuni altorilievi rappresentanti scene di ispirazione greco-romana come eventi eroici della Roma repubblicana, in particolare una vicenda legata a Coriolano, Virginia uccisa dal padre e il sacrificio di Ifigenia. Vi sono inoltre, tra le colonne, delle statue poste su un basamento, raffiguranti Marte e Minerva, realizzate da Antonio Bosa.

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All’interno dell’edificio, in corrispondenza della facciata convessa, si trova una sala circolare con la volta a cupola con affreschi attribuiti a Giuseppe Gatteri raffiguranti la storia di Amore e Psiche, così come altri affreschi in una vicina stanza detta “saletta pompeiana”.

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A metà dell’800 viveva nella Rotonda la famiglia di Felice Machlig, membro di una Loggia massonica, per questo motivo nacque il sospetto che gli scantinati ospitassero riunioni massoniche. Il tempio era ubicato nella sala sotterranea più vasta e, fino a qualche anno fa, erano visibili degli affreschi tipici della decorazione dei Liberi Muratori. Della loro presenza resta traccia molto evidente anche nei bassorilievi esterni del primo piano, dove sono riconoscibili i simboli massonici per eccellenza: la squadra, il compasso e la livella.

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Si parlava addirittura di una serie di passaggi segreti che avrebbero avuto inizio nei sotterranei della Rotonda Pancera e che sarebbero arrivati fin sotto la chiesa di Santa Maria Maggiore, meglio nota come i “Gesuiti”. Le ricerche però, eseguite dalla Società Adriatica di Speleologia, hanno escluso qualsiasi passaggio.
La Rotonda giace oggi in un grave stato di abbandono ed è sfitta dal 1987.

 

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Hotel de la Ville

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L’Hotel de la Ville si trova in Riva III Novembre (allora Riva Carciotti), affacciato sul mare tra Palazzo Carciotti e la Chiesa Greco-Ortodossa, sul sito in cui sorgeva l’antica Cappella Rossetti. Nato come Albergo Metternich, oggi sede di Fincantieri, per anni fu il più importante albergo della città di Trieste e nel 1848 durante alcuni scontri un gruppo di rivoltosi distrusse l’insegna ritenendo Metternich un simbolo dell’Impero, in quell’occasione si optò per il cambio di nome in Hotel de la Ville.

hbjhFu progettato nella prima metà dell’Ottocento da Giovanni Degasperi e costruito nel 1839,  periodo in cui la città stava vivendo un periodo di grande espansione economica; si sviluppavano industrie, commerci e investimenti, si aprono i mercati, si amplia il porto, il traffico di persone si espande sempre di più e quindi si costruiscono alberghi.
L’albergo fu inaugurato l’1 giugno 1841 e nella sua storia ospitò personaggi importanti, come Giuseppe Verdi che proprio qui scrisse la sinfonia dello Stiffelio, re Ottone di Grecia, Gabriele D’Annunzio, Adalbert Stifter e Ricciotti Garibaldi oltre a conti, ambasciatori e artisti.
FT trieste-de-la-Ville_1234L’Hotel era dotato di bagni pubblici, di acqua dolce, del Grande Ristorante su terrazza con vista sul mare e del Cafè Divan, aperto nel 1839. L’edificio fu più volte rinnovato e conserva due primati, nel 1884 vi fu installato il primo ascensore della città e nel 1910 venne dotato di riscaldamento centralizzato, primo albergo dell’Impero Austro-Ungarico.grandhotel9zo

Nel 1911 l’albergo venne acquistato dall’Unione Austriaca di Navigazione e rimase in esercizio fino al 1975; in seguito venne risistemato ad uso commerciale, diventando la sede generale di Fincantieri S.p.A.

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La facciata venne suddivisa dall’architetto in cinque parti da capitelli corinzi; la parte inferiore è caratterizzata da aperture ad arco mentre la parte superiore è composta da quattro ordini di finestre.

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I tondi a rilievo decorativi rappresentano le diverse parti del mondo e sono opera di Pietro Zandomeneghi, i rettangoli scolpiti a bassorilievo invece vennero commissionati dal barone Revoltella (padrone dell’albergo per sei anni) a Giuseppe Moscotto e Giovanni Depaul intorno al 1860 per simboleggiare l’Onore, l’Industria, la Navigazione, la Riflessione, la Religione, la Costanza, la Beneficenza e il Commercio.

 

 

Il pianterreno presenta un rivestimento a bugnato liscio su cui si aprono quattro fori architettonici e al centro un portale d’ingresso con lunetta, decorata a rilievo, affiancato da due piccoli fori finestra.

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Nel 1913, in occasione del centenario della nascita di Giuseppe Verdi  venne posta una lapide sulla facciata a ricordo della prima assoluta della sinfonia dello Stiffelio, scritta proprio all’Hotel de la Ville nel 1850 e andata in scena al Teatro Comunale il 16 novembre di quell’anno.

 

 

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