In Piazza Unità, sulla destra guardando il mare, troviamo Palazzo Stratti. Fu costruito nel 1839 dall’architetto Antonio Buttazzoni in stile neoclassico su incarico del mercante greco Nicolò Stratti, persona molto importante all’epoca, era negoziante di Borsa, direttore del Teatro Novo, fondatore dell’Istituto dei Poveri e membro dell’Unione di Beneficienza.
Nel 1846 a causa di difficoltà finanziarie, il palazzo fu venduto alle Assicurazioni Generali e nel 1872 fu ristrutturata radicalmente la facciata dagli architetti Geiringer e Righetti dandogli un aspetto più eclettico.
Il nuovo progetto fu reso necessario dal fatto che Buttazzoni considerò come facciata principale quella che si affacciava su Passo di Piazza e via del Teatro perché si affacciavano proprio nel punto di maggior fermento cittadino dell’epoca, ovvero il Teatro (1801) e il Tergesteo (1842), mentre non avrebbe potuto prevedere l’ampliamento che la piazza stessa avrebbe avuto negli anni 1850-1890.
Neppure un solo elemento restò sulla facciata a ricordare il vecchio progetto, sia per la trasformazione di elementi preesistenti, sia per l’aggiunta ex novo di una serie di motivi decorativi che conferiscono al palazzo un aspetto pienamente eclettico come i fregi floreali e festoni e le quattro statue a destra e quattro a sinistra tra finestra e finestra dei sopralzi, rappresentanti divinità classiche.
Il complesso scultoreo in cima all’edificio, opera di Pietro Zandomeneghi, era precedentemente sulla facciata posteriore e fu spostato solo nel 1872, rappresenta il progresso e le fortune della città (arte, industria, commercio, navigazione).
La grande figura femminile al centro indica la città di Trieste e ai suoi piedi giaccono i simboli di ricchezza e modernità, sulla destra si vede una locomotiva che Stephenson forni all’Austria nel 1837 e simboleggia l’auspicio che Trieste potesse essere collegata al più presto con Vienna. Per terra giacciono utensili, una pinza, una ruota dentata, un’ancora e un incudine e martello, simboli del lavoro, mentre dal lato opposto una colonna e un capitello rimandano allo sviluppo architettonico e urbanistico della città, la cetra indica la musica, un busto la scultura, una tavolozza la pittura e infine la civetta, animale sacro a Minerva simbolo della ragione e delle tenebre, tutti insieme simboleggiano la crescita culturale e industriale di Trieste.
Al pian terreno dell’edificio c’è lo storico Caffè degli Specchi, centro di irredentismo oltre che di ritrovo per letterati e artisti, inaugurato nel 1839 ma completato solamente nel 1846 quando la proprietà del palazzo passò alle Assicurazioni Generali.
Racconta un aneddoto che in una bella giornata ventosa di inizio secolo, mentre la “Trieste Bene” si godeva il sole d’aprile ai tavoli esterni del Caffè degli Specchi, un buontempone entrando nel locale disse ad alta voce: “Ocio che la statua grande dindola!” (Attenzione che la statua grande traballa!). Seguì un fuggi-fuggi generale e un intervento tempestivo dei pompieri che, fatti i debiti accertamenti, riportarono la calma.
Per molto tempo tuttavia i tavoli sotto la grande statua rimasero inspiegabilmente vuoti.
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Per completezza di informazione rivediamo un po’ di presente.
Era il 1967 e io mi ero appena diplomato geometra. Si stava ristrutturando il palazzo per farne, fra l’altro, la sede dell’Agenzia di Trieste delle Generali. Si conservò integra la facciata con una possente serie di puntelli in tubolari “Innocenti”, si svuotò l’edificio e lo si ricostruì. Io facevo il disegnatore junior nell’Impresa che eseguiva i lavori, e soprattutto disegnavo ferri per cemento armato. Una delle grosse difficoltà fu quella di sposare una nuova struttura, ovviamente a bolla, con la facciata che, al centro, presentava un grosso cedimento dell’ordine dei dieci centimetri (il terreno in quella zona è di riporto piuttosto recente). Se ben ricordo la facciata fu segata orizzontalmente e rimessa a quota.
Daniele De Marco, scusa ma sai perché il famoso palazzo Costanzi si chiama così?E a chi è intestato?